L’ACCENTO LATINO:
Per prosodia si intende l’insieme di regole che riguardano l’accentazione e la quantità. delle vocali e delle sillabe. La parola “prosodia” viene dal greco “προσῳδία”. La parola latina “accentus” (it. “accento”) è un calco di “προσῳδία” (“ad” = “πρός” + “cantus” = “ᾠδή”).
Con accento intendiamo il particolare rilievo che viene conferito a una determinata sillaba di una parola a preferenza delle altre.
È l’accento a permettere la distinzione di determinate sillabe nella catena fonica. Le sillabe non accentate si accentrano intorno alle sillabe evidenziate dall’accento, venendo a costituire le singole parole. Alla natura dell’accento è quindi inerente una funzione che è possibile definire centralizzante (o culminativa).
Quando si parla di parole, sarebbe opportuno distinguere tra parole in senso grammaticale (lemmi del vocabolario) e parole in senso fonetico (unità delle sillabe che si accentrano intorno a un accento).
Es.: “il libro” = 2 parole grammaticali, 1 parola fonetica
In alcune lingue l’accento ha una posizione fissa su una determinata sillaba. In questo caso l’accento possiede anche la cosiddetta funzione delimitativa: una volta conosciuta la posizione dell’accento è possibile riconoscere immediatamente i limiti della parola.
Es.: ceco e ungherese → accento sulla prima sillaba;
armeno → accento sull’ultima sillaba;
polacco → parole normalmente piane.
Nelle lingue nelle quali la collocazione dell’accento non è determinabile a priori, due parole diverse possono essere distinte semplicemente dalla collocazione dell’accento. In questo caso si suole parlare di funzione distintiva dell’accento, anche se alcuni studiosi non sono d’accordo sulla correttezza di questa determinazione.
Es.: italiano → càpitano – capitàno / chiamo – chiamò / ecc.
N.B.: Funzioni dell’accento:
Funzione centralizzante (o culminativa);
Funzione delimitativa;
Funzione distintiva.
Nell’accento possono essere riconosciute due componenti:
- componente intensiva (la sillaba accentata suona con maggior forza delle altre);
- componente melodica (la sillaba accentata viene pronunciata su una tonalità più alta rispetto al resto della parola.
Queste due componenti sono entrambi presenti; tuttavia di regola i parlanti ne avvertono una sola. Si suole distinguere quindi tra lingue ad accento intensivo e lingue ad accento melodico; ma sarebbe preferibile parlare da una parte di lingue ad accento “prevalentemente intensivo” e dall’altra di lingue ad accento “prevalentemente melodico”.
Es.: lingue ad accento “prevalentemente intensivo” → Italiano;
Spagnolo;
Greco moderno.
lingue ad accento “prevalentemente melodico” → Serbo-croato.
Sulla natura dell’accento latino in epoca classica e preclassica non è stato possibile raggiungere finora un accordo tra gli studiosi, che restano divisi tra coloro che ritengono che l’accento latino fosse di natura prevalentemente melodica, come quello greco in epoca classica, e coloro che propendono per una natura prevalentemente intensiva. Non vi sono dubbi invece sulla natura intensiva dell’accento latino in epoca tarda (dal IV sec. d.C.).
L’accento latino, a differenza di quello italiano, possiede la funzione delimitativa, dal momento che la sua collocazione è determinabile a priori, in base alla struttura prosodica della parola. Premesso che vocali e sillabe in latino possono essere lunghe o brevi, in epoca classica la collocazione dell’accento è determinata, secondo un’esplicita testimonianza di Quintiliano, dalla cosiddetta “legge della penultima”.
LEGGI DELL’ACCENTO: (3)
1) LEGGE DELLA PENULTIMA → se la penultima sillaba è lunga, l’accento cade su quest’ultima; se la penultima sillaba è breve, l’accento risale fino alla terzultima;
2) LEGGE DEL TRISILLABISMO → l’accento latino non risale mai oltre la terzultima sillaba;
3) LEGGE DELLA BARITONESI → l’accento non cade mai sull’ultima sillaba.
N.B.: L’ipotesi secondo la quale in epoca preletteraria il latino sarebbe stato dotato di un accento intensivo fisso sulla sillaba iniziale di ogni parola (accento che sarebbe responsabile di fenomeni fonetici quali la sincope e l’apofonia latina), ancora largamente accettata, è stata posta recentemente in dubbio da diversi studiosi.
Le eccezioni alla legge della penultima testimoniate dai grammatici latini sono le seguenti: (5)
alcune parole originariamente accentate sulla penultima sillaba, che avevano perso la sillaba finale per determinate alterazioni fonetiche:
- Es.: Arpinás / nostrás / addíc / addúc / ecc.;
- le voci nelle quali le enclitiche -ce e -ne si sono ridotte foneticamente a -c e -n (la ĕ finale è debole in latino e tende a cadere):
Es.: istíc ← istice / illíc ← illice / ecc.;
- nei casi di contrazione della terza persona singolare del perfetto del tipo:
Es.: audít ← audivit / fumát ← fumavit / ecc.
nel genitivo singolare dei nomi in -ius, -ium della seconda declinazione, l’accento del genitivo in “i” rimaneva sulla penultima sillaba anche se quest’ultima era breve:
Es.: “impéri” non “ímperi”.
N.B.: il genitivo in -i è normale per tutta l’età repubblicana; il genitivo in -ii compare negli aggettivi con Lucrezio e Catullo, nei sostantivi a partire da Properzio e finirà per prevalere in età imperiale.
sempre nei nomi in -ius della seconda declinazione, l’accentazione corrente del vocativo era uguale al nominativo:
Es.: Valérius – Valéri.
nei composti non apofonici di facio, tipo calefacio, il secondo componente del composto viene avvertito come una parola foneticamente autonoma, il che giustifica l’accentazione calefăcis. Allo stesso modo si giustificano le accentazioni del tipo cale-fís.
Le enclitiche -que, -ve, -ne, -ce, -met, -dum attiravano l’accento sulla sillaba immediatamente precedente, indipendentemente dalla sua quantità.
L’impossibilità di ritrarre l’accento oltre la terzultima sillaba accomuna l’accentazione latina all’accentazione attica; ma in attico l’accento può cadere su ciascuna delle tre sillabe finali (su questo punto il latino si avvicina ai dialetti eolici, ma non al beotico, che ritraggono l’accento nella misura del possibile) e la sua collocazione è indipendente dalla quantità della penultima sillaba, essendo influenzata da quella della vocale finale (del tutto irrilevante invece per l’accentazione latina).
I grammatici latini distinguono l’accento in acuto (acutus), quando cade sulla terzultima sillaba o sulla penultima breve delle parole bisillabiche e circonflesso (flexus), quando cade sulla penultima lunga. Questa testimonianza è però messa in dubbio da diversi studiosi moderni che la ritengono una trasposizione servile nel latino del sistema di accentazione greco.
Molto discussa tra gli studiosi moderni è l’esistenza di un accento di frase: secondo alcuni la legge del trisillabismo e della penultima varrebbero in linea di principio soltanto per parole isolate; l’accentazione effettiva avrebbe invece potuto essere modificata all’interno delle singole frasi secondo i rapporti sintattici o l’enfasi della pronuncia. Questa teoria tuttavia non trova alcun appoggio nelle osservazioni grammaticali antiche, anche se può chiamare in proprio sostegno l’analogia di quanto si può osservare nelle lingue moderne.
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