sabato 12 dicembre 2020

Georgiche - Cenni generali

 

LE GEORGICHE


Il termine “Georgica” deriva dal greco “γεωργικός”, "abile contadino", o, più semplicemente, "agricoltura", una raccolta di “poesie contadine”.

È un poema didascalico (con funzione di insegnamento) scritto in esametri, composto tra il 36 e il 29 a.C.

È diviso in quattro libri dedicati rispettivamente:

1) al lavoro nei campi → dedica a Mecenate:

      • aratura e strumenti adatti alla coltivazione dei cereali;

      • giorni” più adatti per eseguire i lavori;

      • descrizione dei presagi metereologici.

2) all'arboricoltura:

      • specie di piante e terreni adatti alla coltivazione di ciascuna;

      • viticoltura;

      • olivicoltura e altre piante pregiate.

3) all'allevamento del bestiame:

      • (prima) animali di grossa taglia (buoi e cavalli);

      • (poi) animali di piccola taglia (capre e pecore).

            N.B.: ciascuna delle due parti è conclusa con un “excursus”:

                        Il primo → effetti dell’amore sugli animali;

                        Il secondo → la peste del Norico (cavallo).


4) all'apicoltura:

      • labor e simbologia delle api;

      • modo in cui è possibile ricostruire uno sciame d’api quando esso sia andato completamente distrutto → tecnica della “bugonìa” → far nascere le api dal sangue putrefatto di buoi sacrificati. Il metodo trae origine e nome dalla vicenda di Aristeo.


N.B.: i primi due libri sono dedicati al mondo vegetale (divisi entrambi in 3 argomenti) e i secondi al mondo animale (allevamento).


L'opera fu "orientata" da Mecenate seguendo le ispirazioni ideologiche augustee: venne composta proprio nel periodo relativo all'affermazione di Ottaviano a Roma e nello stesso periodo in cui Virgilio entrò a far parte del “circolo di Mecenate”. Questa componente propagandistica non va dimenticata, perché ha garantito a Virgilio un successo immediato e successivamente la protezione da parte di Augusto.

Lo stile è più ricco e ricercato rispetto alle Bucoliche, anche se segue sempre i canoni dell'alessandrinismo: gli alessandrini ritenevano che quattro libri fossero la misura perfetta per un poema.

Oltre all’invito di Mecenate, concorsero alla stesura delle Georgiche almeno altri due elementi:

  • la predilezione di Virgilio per la cultura contadina → origini → valori, abitudini di vita, economia, ecc.;

  • l’ammirazione per Lucrezio → profonda conoscenza di Lucrezio → base della poetica virgiliana (questi sono gli anni napoletani in cui partecipa al circolo dell’epicureo Sirone).

  • Ci troviamo storicamente in quel periodo in cui Augusto avviava un programma di potenziamento dei piccoli e medi proprietari terrieri: l’agricoltura era l’autentica rappresentazione della romanità, poiché racchiudeva in sé tutti i valori di laboriosità, parsimonia, religiosità, propri dell’antico costume dei padri.

Gli autori che sembrano aver influenzato maggiormente le Georgiche sono Esiodo e Lucrezio. Dell’antico poeta greco, Virgilio tenne in considerazione le “Opere e i Giorni”, un poema dove vengono elencati i lavori dei campi; mentre dal modello di Lucrezio, Virgilio prende la divisione del poema di diadi (primi due libri: alberi e campi; ultimi due: allevamento). Però dal modello lucreziano Virgilio si discosta dal modo di rappresentare la natura. Nel De Rerum Natura il mondo è animato da forze potenti e vitali, di fronte alle quali l’uomo sembra scomparire; nelle Georgiche, invece, animali e piante sembrano dotati di modi di pensare e agire umani, come l’albero che dopo l’opera di innesto “contempla stupito foglie mai viste e frutti non suoi”. In Virgilio è come se il lavoro umano riuscisse a compiere il miracolo di trasformare l’intera natura, umanizzandola, laddove Lucrezio l’aveva invece vitalizzata.

Non è corretto pensare che le Georgiche siano un manuale agricolo, infatti il poema si fonda su chiare tematiche ideologiche, prima fra tutte è la tematica del Labor.


TEMATICA DEL LABOR – LA SIMBOLOGIA DELLE API – LABOR / AMOR / FUROR:


Virgilio carica il lavoro dei campi di un significato etico e politico. Vi è la celebrazione del modo di vivere della Roma antica, antitetico rispetto a quello a quello contemporaneo che si consuma nell’avidità e nella ricerca di ricchezze. La vita della Roma antica era anche migliore di quella dell’età dell’oro, che secondo Virgilio non fu poi così felice perché afflitta dal veternus, una specie di torpore che toglieva all’uomo la possibilità di sentirsi vivo.

Rimediò a questo Giove con l’introduzione del lavoro. Agli occhi del poeta il lavoro non è una punizione, ma un atto di giustizia e soprattutto un dono divino. Il lavoro si collega al tema della religione e della pace: sono gli dèi agresti a garantire la tranquillità all’agricoltore e a rendere fecondi i campi. Sintesi di questa tematica è il passo in cui viene descritta la vita sociale delle api: delle api viene prima di tutto celebrato il lavoro, la fatica non viene avvertita per il fatto che esse avevano nutrito Giove a Creta. Gran parte del lavoro poi viene svolto in un ambiente idillico, in mezzo al profumo e al colore dei fiori: l’amor florum colma di felicità i piccoli insetti facendogli dimenticare la fatica. Esse inoltre posseggono una scintilla divina che le rende immortali. La società delle api diventa esempio di una civitas in miniatura, in quanto fondata sui valori della tradizione romana: la disponibilità dei singoli a sacrificarsi per la collettività, concordia, il lavoro di cooperazione. Le api assumono anche una pluralità di valori simbolici: odiatrici del vizio, nell’orfismo erano simbolo dell’anima purificata: dalla materia putrefatta (sangue bovino) esse rinascono a nuova vita. Come Orfeo esse erano anche simbolo della dolcezza del canto e di una poesia che con il suo potere è in grado di vincere la morte. Non appare dunque strana la scelta di coinvolgere anche Orfeo nel finale dell’opera intrecciando la sua vicenda con quella di Aristeo. Servendosi di questi due protagonisti e delle loro azioni, Virgilio compie una profonda riflessione sui temi del labor e dell’amor, entrambi accomunati dalla fatica e dalla follia amorosa (furor) che fa smarrire loro la ragione, ma separati dall’esito delle loro vicende: a far la differenza è il diverso modo in cui essi si pongono di fronte agli dèi e alla loro diversa natura.

Aristeo è l’agricola per eccellenza, ne possiede tutti i requisiti: la sua pronta obbedienza al volere divino gli consente di risolvere i suoi problemi, infatti tramite il rituale della bugonìa (far nascere le api dal sangue putrefatto di buoi sacrificati) ripopolerà il suo sciame distrutto. A lui si contrappone Orfeo che non trova soluzione ai suoi problemi: la sua leggerezza dettata dalla passione d’amore vanifica ogni sforzo e ciò avviene perché Orfeo non è un pastore e come tale non ha i suoi valori; in questo sta la sua sconfitta, perché il labor è corroso dal furor.

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