MARCO
TULLIO CICERONE - PRO MARCO CELIO ORAZIONE
[1]
Se
qualcuno,
giudici,
per
caso ora
fosse
presente ignaro delle leggi,
dei
tribunali,
delle
nostre consuetudini,
si
stupirebbe certamente,
di
quale sia la grande atrocità di questa causa,
poiché
nei
giorni di festa e durante i ludi pubblici,
quando
tutte le attività forensi sono state sospese, un solo giudizio è
esercitato,
non
dubiterebbe,
in
verità che questo imputato
è
accusato di tanta scelleratezza,
a
tal punto che a trascurarlo Roma non potrebbe resistere (stare in
piedi);
lo
stesso
venendo
a sapere che c’è una legge,
che
ordina di processare ogni
giorno i
cittadini sediziosi e scellerati,
che
armati avrebbero assediato il senato,
che
avrebbero
usato violenza contro i magistrati,
che
avrebbero attaccato la Repubblica:
non
disapproverebbe la legge,
chiederebbe
quale
crimine è trattato in giudizio;
venendo
a sapere che nessun crimine,
nessuna
insolenza,
nessuna
violenza
è
chiamata in giudizio,
ma
che
un adolescente dall’illustre ingegno,
è
accusato (è
chiamato in giudizio) per
operosità,
per
amicizia
dal
figlio di colui,
che
egli
stesso chiama
e ha chiamato in giudizio,
e
inoltre è attaccato dall’opera di una meretrice:
[Atratino]
non
biasimerebbe la sua devozione verso la patria,
(ma)
riterrebbe che il capriccio femminile debba essere represso,
vi
considererebbe laboriosi (voi)
ai
quali
non
è permesso neanche essere
liberi (da impegni pubblici)
quando
la collettività è libera (in ozio).
[2]
E
infatti, giudici,
se
avrete
voluto prestare attenzione diligentemente,
giudicare
tutti
gli elementi di
questa
causa,
così
determinerete,
che
né qualcuno, a cui fosse stato consentito, se mai avesse voluto, si
sarebbe abbassato a questa causa, né,
essendosi
abbassato,
alcuno
non avrebbe avuto speranza per essa,
se
non si fosse affidato su un’intollerabile libidine e sull’eccessivo
crudele odio di qualcuno. Ma
io perdono Atratino,
umanissimo e ottimo
ragazzo
mio
amico,
che
ha come
giustificazione per esempio
l’affetto,
la necessità, l’età.
Se
ha voluto accusare / chiamare
in giudizio,
lo
attribuisco all’affetto,
se
è stato comandato,
alla
necessità,
se
ha
nutrito qualche speranza,
alla
giovinezza.
Agli
altri
non solo
non bisogna perdonare nulla,
ma
bisogna
anche
tenergli
testa con risolutezza (aspramente).
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